Alessia Giannini ci racconta la sua storia – da studentessa confusa a Community Specialist di start2impact.
“Cosa vuoi fare da grande?
Ricordi quand’eri piccolo che ti chiedevano cosa volevi fare da grande? Come ti sentivi? Se penso ai miei cinque o sei anni, la risposta esatta non mi sovviene. Ricordo però, quello che accadeva subito dopo: la faccia dell’adulto che mi aveva fatto la domanda assumeva un’aria di orgoglio e approvazione.
Dichiarare un’identità fa stare bene. Il mondo (almeno, il mio piccolo) approvava.
Poi, quando cresciamo, succede qualcosa: da un divertente esercizio di immaginazione, l’interrogativo “cosa vuoi fare da grande” diventa serio e ci trasmette sempre più ansia.
Cominciamo a sentire la pressione e l’obbligo di dargli una risposta concreta, che abbia un peso e delle conseguenze cui saremo vincolati.
Vogliamo tutto e rifiutiamo le etichette, cercando di evitare le scelte sbagliate. Mentre il mondo attorno a noi ci sprona a “scegliere una specializzazione”, a “puntare sulle nostre forze” e a “trovare una nicchia tutta nostra”, noi poveri mortali ci arrovelliamo per capire chi siamo e che cosa potrà dare significato alla nostra vita. Siamo vittime di pressioni esterne e interne, che si intrecciano con l’inquietitudine esistenziale e la confusione identitaria.
La domanda “cosa vuoi fare…” riesce a seminare il panico nei cuori e nelle menti di tutti noi perché sottintende che dovremmo essere una cosa sola.”
Ho deciso di iniziare il racconto della mia storia citando le parole di Emilie Wapnick prese dal suo libro Diventa chi sei.
È passato poco più di un anno da quando vidi il suo Ted Talk, citato all’interno dell’articolo di una ragazza sul blog di start2impact.
A volte, essere indecisi, può essere un punto di forza. Non avevo mai considerato questo punto di vista.
Forse, allora, non c’è nulla di “sbagliato” in me, ho pensato. Queste parole le ho subito sentite mie. Nel profondo.
Ma facciamo un passo indietro.
La mia storia
Vivo a Chieti, in Abruzzo.
Ebbene sì, come si sarà intuito dalla premessa, in quinta liceo (ho frequentato lo scientifico della mia città) ero la ragazza terrorizzata dalla domanda di Prof e compagni quando mi chiedevano: “allora, cosa vuoi fare dopo la maturità?”
Fuori non lo davo a vedere, ma questa domanda mi logorava dentro.
Non ho mai avuto un talento o una passione particolare.
Ecco che sono caduta inevitabilmente nella trappola del tempo, diventandone “vittima” (consapevole?).
Ho scelto un percorso universitario in fretta, senza ragionarci, senza fare le mie considerazioni perché “devo sbrigarmi, non ho mica tempo da perdere, a breve iniziano i corsi e qualcosa devo sceglierla” mi dicevo.
Era settembre 2014. Scelsi ad esclusione Servizi Giuridici per l’Impresa. Dopo il primo anno, in cui diedi tutti gli esami (con una buona media), decisi di cambiare percorso e mi iscrissi nella facoltà di Economia e Commercio. Per fortuna non persi l’anno perché mi riconobbero alcuni esami.
Gli anni che vanno dal liceo fino alla laurea triennale potrei definirli, con il senno di poi, gli anni delle decisioni non ponderate, delle scelte “meccaniche”.
Non avevo un obiettivo, non avevo un metodo. Mi svegliavo la mattina intorno alle 8.00 e iniziavo a studiare. “Studiavo” anche per otto ore consecutive al giorno. Lo facevo senza criterio, solo perché l’esame era imminente e quello era “il mio dovere”.
Non facevo sport, non avevo particolari hobby perché beh “non avevo tempo”, dovevo studiare.
Risultato? Mi sono laureata in tempo, sì, ma con una votazione che non rendeva onore al tempo impiegato sui libri: 97/110.
Iniziai a interrogarmi, a chiedermi dove sbagliavo. Secondo il mio pensiero di allora avevo fatto tutto al massimo delle mie capacità.
Per la specialistica scelgo (questa volta consapevolmente) il percorso di Economia e Direzione Aziendale.
Erano i primi mesi di magistrale quando nella mia università si svolse un seminario sulla “blockchain” (era la prima volta che sentivo questo termine) tenuto da un certo Gian Luca Comandini.
In quell’occasione non potetti assistere a causa di una visita in ospedale. Nei giorni seguenti alcuni amici mi dissero di iniziare a seguire questo “Comandini” su Instagram perché, a quanto pare, oltre contenuti informativi era anche un ottimo intrattenitore.
Accettai il loro consiglio. Ascoltai Gian Luca per giorni e iniziai a nutrire stima nei suoi confronti.
Fu in una delle sue Instagram stories che sentii per la prima volta il nome “start2impact”.
Subito cliccai incuriosita sul tag che mi ricondusse alla loro pagina Instagram.
Osservando questo account mi resi subito conto di esserne rapita, a pelle.
Vedevo ragazzi (spesso molto più piccoli di me) pieni di ambizioni, di obiettivi e sogni.
Studenti di scuole superiori già alle prese con i primi lavori, progetti personali.
E io? Io cosa stavo facendo?
Era una sera di febbraio 2019. Seguii la diretta di uno dei primi studenti della piattaforma che raccontava il suo primo giorno di lavoro ottenuto grazie a start2impact.
Fu in quel preciso istante che mi resi conto che non volevo più stare a guardare.
Ero stata spettatrice passiva della mia vita per troppo tempo.
La svolta: Il mio viaggio dentro start2impact
Mi misi in lista di attesa. Divorai letteralmente i contenuti che il team mi inviò in quei giorni.
La cosa che mi colpì di più fu la serie tv di mindset. Si parlava di “sabotatori interni e esterni”. Capii che era esattamente ciò che era accaduto a me.
Stavo vivendo una vita che non sentivo pienamente mia.
Stavo facendo quello che gli altri si aspettavano da me, non quello che volevo realmente.
La differenza stava nel fatto che prima non ne ero consapevole. Ora iniziavo a guardare il mondo da un’altra prospettiva.
Decisi di sottoscrivere subito l’abbonamento annuale. Credevo nel loro progetto. Volevo esserne parte. Era Marzo 2019.
Il 1 giugno 2019 partecipai alla prima Job Fair organizzata dai ragazzi di start2impact a Binario F, uno spazio messo a disposizione da Facebook.
Ero entusiasta.
Feci tre colloqui. Non lo dissi a nessuno ma, in quel momento, il mio obiettivo non era tanto quello di cercare lavoro, quanto piuttosto incontrare i ragazzi del team e la community dal vivo.
Era la prima volta che “un’azienda” (per me è strano anche chiamarla così) si metteva a disposizione in questo modo incontrando di persona i ragazzi.
Fu un giorno pazzesco. Partii da sola. Lì conobbi per la prima volta Gherardo e Virginia che fino ad allora avevo visto solo attraverso uno schermo. Feci amicizia con molti ragazzi.
Capii sulla mia pelle il vero significato della parola “contaminazione”.
Fu un’esperienza così bella che promisi a me stessa di non perdermi nessun’altra occasione simile per fare networking. E così feci.
Nel gruppo riservato ai membri premium sentii parlare per la prima volta di eventi come “Campus Party” (noi membri della community avevamo degli sconti sui biglietti).
Diedi subito la mia disponibilità.
Ecco che a luglio sono arrivata a Milano, con due amici appartenenti anche loro a start2impact, carica di aspettative che sono state superate.
Non mi bastava.
La seconda occasione non si è fatta attendere: “Heroes meet in Maratea”, Settembre 2019.
Non sapevo neppure dove fosse Maratea (spero perdoniate la mia ignoranza).
Decisi di partire da sola. Non conoscevo nessuno. Per l’occasione i ragazzi del team crearono un gruppo WhatsApp per i membri di start2impact interessati a questo evento. Mi organizzai con due di questi per incontrarci a Roma e raggiungere Maratea insieme.
Condivisi con loro l’appartamento, con due perfetti estranei. La “vecchia me” non avrebbe mai avuto il coraggio di fare un’esperienza del genere da sola.
Ma la voglia di stimoli, di contaminazione era più forte delle scuse che mi raccontavo.
Fu anche questa un’esperienza indimenticabile.
Ascoltai speech di imprenditori, ragazzi giovanissimi alle prese con le loro prime startup. Era un mondo così diverso da quello che conoscevo, ma così bello, arricchente.
Una spugna. Ecco come mi sentivo.
Ascoltavo, prendevo appunti.
Lì conobbi il resto del team, che allora era composto da Elisabetta e Alessandro oltre che Virginia e Gherardo.
A Novembre 2019 di nuovo novità: i meetup offline per far incontrare i membri di ciascuna regione.
Fui entusiasta e mi candidai subito per diventare Local Ambassador per la mia regione.
Il gruppo piano piano si allargò.
La mia trasformazione
Queste esperienze ebbero un impatto notevole non solo sulla mia vita privata e sulle mie abitudini, ma anche sulla mia carriera universitaria. Avevo finalmente capito dove sbagliavo.
Iniziai a cambiare atteggiamento. A considerare l’università non più come una “macchina da esami”, ma come occasione di crescita personale, di networking.
Partecipai a seminari, sfruttai tutti i progetti paralleli offerti da questa.
Capii che non è vero che l’università non offre stimoli. Ma devi essere tu a volerli, a cercarli.
Ebbi l’occasione di mettermi alla prova con due progetti “impresa in accademia” e “innovation camp”. Fu la prima volta in cui svolsi progetti personali sia individuali che in team.
Grazie a questi vinsi una borsa di studio per un corso di marketing for export.
Gli stimoli arrivarono così, uno dopo l’altro, inaspettati.
Studiavo meno, studiavo meglio. Rendevo di più. Capii che non era il tempo dedicato allo studio a fare la differenza ma la qualità di questo.
Mi laureai con il massimo dei voti.
Letture
Riscoprii la bellezza della lettura che avevo abbandonato anni prima. “Non ho tempo, devo studiare” mi raccontavo. “Non è questione di tempo, ma di priorità” imparai da Virginia.
Una di queste fu “Il potere di adesso” di Eckhart Tolle.
Scoprii la meditazione, l’importanza di concentrarsi sul presente.
Tolsi le notifiche al telefono.
Eliminai contatti tossici dai social, di quelli che ti mostrano solo quanto è fantastica la loro vita (è davvero così?).
Mi circondai di persone di valore per me, dalle quali sapevo di poter imparare.
Piccoli cambiamenti, graduali, digeribili.
Ho individuato i miei modelli, le mie persone.
Di cosa mi occupo nel team di start2impact
Ricopro il ruolo di Community Specialist. Affianco Alessandro nella gestione della community.
So che è una figura sconosciuta a molti (ai miei genitori in primis!).
Per fortuna Alessandro ha racchiuso in questo articolo tutto quello che c’è da sapere su questa figura.
Sono entusiasta di questo ruolo. Da sempre amo il contatto con le persone. Mi piace leggere e ascoltare le loro storie. L’idea di poterle aiutare mi rende felice.
Obiettivi
Ad oggi non saprei dire come mi vedo fra 10 anni. La mia certezza è che continuerò ad affrontare la vita sempre alla ricerca di nuovi stimoli e lasciandomi contaminare.
La spinta gentile
Credo che start2impact abbia significato questo per me: una spinta gentile. Una finestra su un mondo a me prima estraneo.
Un’alternativa a quella strada lineare e tradizionale che fino a poco fa vedevo come unica via.
Punti di vista nuovi, freschi.
Oggi non ho più paura della domanda “cosa vuoi fare da grande?”. Anzi, lo prendo come stimolo per intavolare una discussione costruttiva per spiegare il mio nuovo modo di vedere le cose.
Ho imparato che per dire cosa ci piace e cosa no, bisogna mettersi in gioco. Testare quante più strade possibili.
Ecco che oggi mi concedo il lusso di provare, cambiare, sbagliare, rischiare.
Mi concedo il lusso di ascoltare tutti, fare tesoro delle loro parole, e continuare a fare di testa mia dritta per la mia strada, qualunque essa sia.