Lo zucchero bianco è velenoso? Lo zucchero integrale fa bene? Scopriamo quanto le parole facciano la differenza nel food marketing.
Zucchero sano e zucchero velenoso? Il miele è più salutare? In base a cosa prendiamo queste scelte?
Ci troviamo al bancone del bar, o magari seduti al tavolino, e siamo pronti a zuccherare il nostro caffè: allontaniamo il malsano zucchero bianco raffinato e scegliamo una bustina di zucchero di canna, dal rassicurante colore ambrato.
Ormai l’aggettivo raffinato, positivo in altri ambiti, ha assunto nel campo dell’alimentazione il significato di chimico, inquinante, tossico.
Al contrario, invece, la parola grezzo o integrale richiama alla natura, i prodotti della terra.
E lo sanno bene le industrie alimentari che assecondano i trend del momento (quello dello zucchero un trend che non tende a cedere).
Ma le cose stanno davvero così?
Secondo Strategia-Borsa, lo zucchero viene prodotto principalmente in Brasile e in India, seguiti dall’Unione Europea e dalla Cina.
Il corso dello zucchero e la sua evoluzione sono influenzati da vari fattori tra cui, ovviamente, la domanda e l’offerta ma ha delle ripercussioni anche il valore del dollaro e persino quello del petrolio.
La correlazione con il petrolio deriva dall’utilizzo dello zucchero nella produzione di bioetanolo.
Ad esempio, l’Indice FAO dei prezzi dello zucchero ha subito un ribasso del 3,9% rispetto ad agosto 2019, a causa delle previsioni di maggiori scorte e dal calo della domanda di canna da zucchero da utilizzare nella produzione di etanolo in Brasile.
Ma anche dalle fonti più autorevoli si evidenzia quanto lo zucchero e il suo mercato siano incisivi nell’epoca in cui viviamo, senza però render chiaro, effettivamente, cosa lo zucchero sia, in che modo è inserito nella nostra vita quotidiana e, soprattutto, perché.
Il lungo viaggio dello zucchero
Il dolcificante più diffuso nell’antichità era il miele, ma già nel 5000 a.C. si produceva una sostanza zuccherina a partire dalla bollitura della canna da zucchero, che pare sia stata esportata dai polinesiani in Cina e in India.
Da quel momento venne utilizzata ed apprezzata dai suoi consumatori, fino ad arrivare in Europa nel 510 a.C. per mano dei persiani (Iran), i quali lo estraevano dai suddetti vegetali definendolo un succo denso e dolcissimo che fatto asciugare su larghe foglie, produceva cristalli che duravano nel tempo e dalle spiccate proprietà energetiche.
I persiani ne estesero la coltivazione e tutto il Medio Oriente.
Solo nel 325 a.C., Alessandro Magno portò la notizia che nei territori orientali si trovava un «…miele che non aveva bisogno di api».
La canna da zucchero, originaria della Papua Nuova Guinea, si diffuse presto nelle zone dell’Estremo Oriente e da lì venne importata in Italia, più precisamente in Sicilia.
Questo è il lungo viaggio intrapreso dal saccarosio, genericamente chiamato zucchero, per giungere oggigiorno nella tua dispensa per rendere il caffè meno amaro o per preparare un buon dolce.
Cos’è lo zucchero?
Nel linguaggio comune associamo lo zucchero ad un sapore dolce, ma in realtà non è proprio così.
Immagina uno zucchero come un mattoncino singolo, chiamato “monosaccaride”. Se a questo è collegato un altro mattoncino avremo un disaccaride e se la catena si prolunga andremo a trovarci dinanzi un polisaccaride, ossia uno zucchero complesso.
I monosaccaridi sono:
- Glucosio
- Fruttosio
- Galattosio
I disaccaridi:
- Saccarosio: glucosio + fruttosio (lo zucchero da tavola)
- Lattosio: glucosio + galattosio (lo zucchero del latte)
- Maltosio: glucosio + glucosio (lo zucchero dei cereali)
Gli zuccheri complessi, ossia i polisaccaridi:
- Glicogeno, amido, fibre (catene di glucosio)
Quello evidenziato è lo zucchero per come lo intendiamo genericamente.
La confusione tra carboidrati e zuccheri risulta quindi comprensibile, nonostante questi siano la stessa cosa una volta scomposti dal nostro apparato digerente.
Il primo motivo di questa confusione è che sulle etichette alimentari con la parola “zuccheri” vengono indicati solo gli zuccheri semplici, separati dai carboidrati totali.
Il secondo motivo è che tutti i carboidrati, semplici o complessi che siano, sono digeriti e assorbiti come zuccheri semplici. Ed anche nei mercati borsistici, con la generica parola di “zucchero” si intende il saccarosio.
Nel nostro stomaco sono, quindi, ugualmente assimilati sotto forma di mattoncini unici, l’unica cosa che varierà sarà il tempo affinché queste catene di mattoncini si scompongano in unità singole, i monosaccaridi, per essere assorbiti.
Detto ciò, risulta più chiaro comprendere perché sia che mangiamo un cucchiaio di marmellata o un piatto di pasta integrale, assorbiremo comunque una miscela di zuccheri semplici.
Zucchero bianco e zucchero di canna
Lo zucchero da tavola, il saccarosio insomma, viene prodotto nelle piante dalla fotosintesi a partire da acqua ed anidride carbonica. Potremmo dire che è energia solare immagazzinata.
È più o meno presente in tutte le piante, ma solo dalla canna e dalla barbabietola è economicamente conveniente estrarlo.
I metodi di produzione a partire dalla barbabietola da zucchero e dalla canna da zucchero sono molto simili, differiscono solo nelle fasi iniziali. La molecola è la stessa e quindi nutrizionalmente identica, tuttavia circa i tre quarti della produzione mondiale di zucchero proviene dalla canna.
Lo zucchero di barbabietola viene raffinato, cioè depurato da tutti i residui, in una polvere cristallina che è saccarosio al 99,5%.
Lo zucchero di canna, invece, avendo un sapore più gradevole, viene anche venduto nelle versioni grezzo e integrale.
Lo zucchero grezzo di canna che troviamo nelle bustine al bar non è altro che zucchero raffinato con residui di melassa, un sottoprodotto della lavorazione dello zucchero.
In alcuni casi, ma deve essere segnalato sull’etichetta, è addirittura zucchero bianco colorato con caramello, detto E150.
Dal punto di vista nutrizionale non c’è nessuna differenza con lo zucchero bianco.
A seconda del momento in cui viene interrotto il processo di raffinazione, si hanno granelli di zucchero di colorazione differente e quindi, venduti con nomi commerciali differenti:
- Grezzo
- Integrale
- Muscovado
- Bruno
- Di canna
Ma è praticamente la quantità di melassa a variare.
Mediante raffinazione si separa la melassa dal saccarosio che è, per sua natura, bianco.
Raffinare vuol dire purificare e ciò non vuol dire peggiorarne la qualità.
Anche l’acqua viene raffinata, ossia purificata, pensi che questo sia a favore o a sfavore della sua qualità?
Credo di conoscere la tua risposta.
Il potere delle parole
Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato.
Carlo Petrini
Se sei già avvezzo al mondo del marketing, saprai bene come ogni parola ha il suo significato, il suo valore e come una virgola, un punto, una CTA scritta in un modo invece che in un altro possano fare la differenza.
Determinate parole possono comunicare la soluzione ad un problema, la soddisfazione ad un’esigenza e, talvolta, creare l’esigenza che il consumatore non sapeva di avere.
Nel Food Marketing è lo stesso!
Le parole delineano la forma del prodotto, rendendolo quanto più adattabile al consumatore a cui vogliamo rivolgerci, tenendo presente i suoi problemi ed i suoi bisogni.
Molto spesso, però, ci si rivolge al pubblico anche in base al periodo storico, sociale in cui ci troviamo.
La maggiore consapevolezza di ciò che mangiamo, i continui studi che si fanno nel mondo del food, mettono a dura prova il consumatore che non sa più cosa faccia bene e cosa no, in che quantità e perché.
È su questi punti che si andrà a far leva!
Il primo giocatore ad entrare in campo è l’informazione parziale: lo zucchero di canna (non purificato e quindi scurito dalla melassa) e ancor di più quello integrale, presenta, oltre che la melassa, anche sostanze importanti come sali minerali e vitamine.
Se è vero che lo zucchero integrale, come pure altri dolcificanti “naturali”, contiene, a differenza dello zucchero raffinato, diverse sostanze importanti, tutte debitamente elencate dai produttori, è pure vero che ne contiene in quantità trascurabili, insignificanti per meglio dire.
Quindi queste sostanze benefiche ci sono oppure no?
Certo che ci sono, il punto è che dovremmo mangiare la pianta così come la natura l’ha fatta per riceverne i benefici.
Nello zucchero, anche in quello integrale, di queste sostanze, rappresentate da vitamine e alcuni minerali come il calcio, ne rimangono ben poche.
Un po’ come detto per il sale, dove abbiamo visto la presenza di ferro nel sale, in questo caso vediamo il calcio presente nello zucchero.
Conosciamo molto bene i benefici del calcio per la salute delle nostre ossa, no?
Per ottenere la dose giornaliera raccomandata dovremmo consumare 1 kg di zucchero! Si fa prima e meglio con 2 etti di formaggio fresco. Lo stesso si può dire con altri minerali, vitamine ed oligoelementi presenti nello zucchero integrale.
Un altro dei presunti vantaggi dello zucchero integrale è che sia meno calorico: infatti è meno concentrato.
Stesso discorso fatto sul mio precedente articolo sul sale.
Se tolgo zucchero alla mia confezione per aggiungere altri elementi è ovvio che sarà meno calorico, ma avrà anche un potere dolcificante ridotto, quindi ne aggiungerete probabilmente di più.
Sempre più prodotti (marmellate, merendine, ecc…) sono dolcificati con succo d’uva concentrato, di mele o di altra frutta.
Questo vuol dire che sono prodotti più sani? No, anche se probabilmente costano un po’ di più.
Il segreto consiste nel sostituire la parola “zucchero” sull’elenco degli ingredienti con una parola che richiama la frutta, dando l’impressione all’acquirente che il prodotto sia meno calorico e più sano.
In realtà questi sciroppi sono miscele concentrate di zuccheri, nutrizionalmente analoghe allo zucchero bianco.
Succo d’uva o no, lo zucchero è zucchero, non importa la provenienza.
Per capire meglio gli zuccheri presenti in un prodotto basta consultare la tabella nutrizionale alla voce “zuccheri”.
Nelle etichette, per definire lo zucchero, si possono trovare oltre 200 nomi differenti (zucchero, destrosio, succo di frutta, zucchero di palma, sciroppo d’acero, ecc..).
Le differenze nutrizionali non saranno mai significative, mentre il prezzo sì.
A volte troviamo più di un nome riferito agli zuccheri, come ad esempio “zucchero di canna, destrosio, fruttosio”.
Perché utilizzare più nomi e non semplicemente “zucchero”?
Questo perché, per legge, gli ingredienti sui prodotti sono elencati dal più abbondante al meno abbondante e frazionare gli zuccheri in più categorie, fa sì che nessuna di esse ne contenga quantità sufficienti per salire ai primi posti, dando all’acquirente l’impressione che il prodotto contenga poco zucchero.
In sinergia con quanto detto fin’ora, viene poi sfruttata la grandezza dei caratteri. Può sembrare banale, ma ha un certo effetto sul consumatore giocare con i caratteri:
SENZA ZUCCHERI aggiunti
Con zucchero INTEGRALE
Nell’epoca dell’healthy food instagrammabile, dei nutrizionisti nei talk show e delle palestre sempre più numerose e piene, far leva sui bisogni e paure dei consumatori è un mezzo efficace mediante il quale il potenziale cliente diventa quasi da subito acquirente, se sappiamo usare le giuste parole e nella forma più adatta.
Lo zucchero è e rimarrà uno degli ingredienti più amati quanto maledetti per i sensi di colpa che ci vengono quando ne abusiamo.
Ma questo non è motivo per cambiarne la forma, nome, colore o sapore.
Piuttosto, la maggiore consapevolezza può renderci coscienti di ciò che mangiamo ed apprezzare ulteriormente quanta fatica ha fatto un ingrediente così prezioso per arrivare fino a noi.
Allo stesso tempo, promuovere un prodotto alimentare è ormai una sfida per i le grandi aziende e queste tecniche del marketing consentono al consumatore di capire il reale valore di quella che può sembrare una comunissima confezione di zucchero, facendo del marketer il portavoce di storia, lavoro e tradizione.
La pubblicità non è una scienza. È persuasione. E la persuasione è un’arte.
Bill Bernbach